Antenòr

Testo Antenòr:

Si chiamava Antenòr e niente

si chiamava Antenòr e basta

perché per certa gente

non importa grado o casta

importa come vivi

ma forse neanche quello

importa se sai usare bene

il laccio od il coltello.

Antenòr uscì di casa

uscì di casa quella sera

garrivano i suoi pensieri

come fossero bandiera

ma gli occhi erano fessura

e il viso tirato a brutto

come all’età in cui credi

d’aver fatto quasi tutto.

Un cavallo nitrì, ma quando?

Una donna rise, ma dove?

La luna uno scudo bianco

un carro le stanghe in alto

chitarra, ozio, parole

chitarra, ozio, parole

la pampa un ricordo stanco

un mare quell’erba nera

può darsi fosse romantico

ma lui non lo sapeva.

Quella donna rideva ad ore

quella luna solo uno sputo

e per quel cavallo

non avrebbe speso anche un minuto.

è difficile far rumore

sulle cose che ci hai ogni giorno:

le tue braghe, il tuo sudore

e l’odore che porti attorno.

La cantina era quasi vuota

scarsa d’uomini e d’allegria

se straniero l’avresti detta

quasi piena di nostalgia

nostalgia ma di che cosa

d’un oceano mai guardato

d’una Europa mai sentita

d’un linguaggio mai parlato?

Antenòr chiese da bere

e scambiò qualche saluto

calmo e serio danzò

tutto il rituale ormai saputo

uomo e uguale coi suoi pari

quasi pari con gli anziani

come breve quella sera

come lunghi i suoi domani.

Proprio allora qualcuno entrando

nella luce da dentro al buio

lo insultò appena sussurrando

ma sembrava che stesse urlando

come per uno schiaffo

come per uno sputo

Antenòr lo guardò sorpreso

lo studiò e non lo conosceva

e il motivo restò sospeso

fra la gente ferma in attesa

e lui non lo sapeva

e lui non lo sapeva.

Poi sentì di una donna il nome

già scordato o non conosciuto

quante volte per altri è vita

quello che per noi è un minuto

guardò gli uomini per cercare

occhi, dialogo, spiegazione

ma se non trovò condanne

non trovò un’assoluzione.

Antenòr uscì di fuori

bilanciando il suo coltello

per danzare malvolentieri

passi e ritmi del duello

una donna non ricordata

ed un uomo mai visto prima

lo legavano tra loro

come versi con la rima.

Fintò basso e scartò di lato

quanti sguardi sentì sul viso

si sentì migliore e stanco

si sentì come un sorriso.

Che serata tutta al contrario

proprio niente da ricordare,

puntò il ferro contro il viso

vide il sangue zampillare.

Tutto quanto era stato un lampo

Antenòr respirava forte

fece il gesto di offrir la mano

guardò l’altro e capì pian piano

che tutto era stato invano

che l’altro cercava morte

e capì che doveva farlo

farlo in fretta perché non c’era

un motivo per ammazzarlo.

L’altro cadde e non rispondeva,

e lui non lo sapeva

e lui non lo sapeva.

Antenòr lo guardò cadere

sentì dire: “La colpa è mia”,

sentì dire: “è stato un uomo”

sentì dire: “Fuggi via!”

La giustizia disse bandito

ma un poeta gli avrebbe detto

che era come l’Ebreo errante

come il Batavo maledetto.

Quante volte ci è capitato

di trovarci di fronte a un muro,

quante volte abbiam picchiato

quante volte subìto duro

quante cose nate per sbaglio

quanti sbagli nati per caso

quante volte l’orizzonte

non va oltre il nostro naso.

Quante volte ci sembra piana

mentre sotto gioca d’azzardo

questa vita che ci birilla

come bocce da biliardo,

questa cosa che non sappiamo

questo conto senza gli osti,

questo gioco da giocare

fino in fondo a tutti i costi.

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